
Milano è storicamente la capitale dell’editoria in Italia. Fino a pochi anni fa i giornali grondavano pagine di approfondimenti. I cronisti battevano i marciapiedi, parlavano con il fruttivendolo e la portinaia. Conoscevano a memoria ogni angolo della propria città. Stabilivano una relazione umana e professionale con il commissario, il parroco, il politico. Distinguevano tra fonti attendibili e fonti fantasiose. Sapevano che la penna fa più male della spada, e mille rettifiche non cancellano una bufala.
Il cronista aveva, nella ricerca della notizia, la stessa affidabilità di un maresciallo o di un giudice. Era ripagato, nella fatica che si chiama inchiesta, dalla gratitudine del lettore e da uno stipendio dignitoso.
Quel giornalismo aveva la sua nave ammiraglia nel “Corriere della Sera”. Il quotidiano di via Solferino ha attraversato la storia dell’Italia post-unitaria. Con le proprie pagine, dal 1876 a oggi, ha costituito l’autobiografia di una nazione.
Giuseppe Gallizzi, ragazzo di Calabria, esplora le stanze di quella redazione, dove ha vissuto dal 1960 al 2001. Ha visto sfilare i grandi nomi del giornalismo.
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